di Guido Samarani
Penso sia molto importante che non si affermi l’idea che la Cina è un nemico: è e può essere un concorrente, come si dice un “competitor” ma credo non un nemico: il nemico è qualcosa di diverso, è l’altra faccia contrapposta dell’amico e come ha messo in luce tra gli altri Umberto Eco proprio dieci anni fa, richiamando esempi quali quelli della Guerra fredda Usa-Urss o dell’11 settembre: “Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo”.[1] La stessa storia della Cina moderna e contemporanea – credo – ci mostra assai bene in concreto che cosa ciò possa significare e a che cosa possa portare: basti pensare alla contrapposizione con gli USA e con l’URSS e al tema del nemico interno in vari passaggi della storia cinese.
Penso che dobbiamo fare ogni sforzo ed impegnarci affinché, come studiosi, nel nostro paese non prevalga tale approccio, anche se quanto ho letto in certa informazione in questi due anni in particolare mi preoccupa non poco…
Che fare dunque?? Vorrei mettere qui in luce 3 aspetti e questioni:
- Studiare, conoscere, analizzare a fondo e non in modo superficiale la Cina significa anche e forse soprattutto intrecciare ed incrociare criticamente fonti ed analisi diverse: è un lavoro complesso e anche lungo, mi rendo conto che il succedersi dei tempi e degli eventi richiede risposte rapide ed essenziali ma è mia convinzione che ciò non possa e non debba pregiudicare riflessioni e giudizi più fondati e di più ampio respiro;
- Penso sia molto importante affrontare la contemporaneità ed attualità legandola anche ad una riflessione sulle radici storiche dei processi e dei fenomeni: insomma, riscoprire e valorizzare le radici storiche della contemporaneità. Mi capita ad es. di leggere opinioni e valutazioni che sembrano essere in qualche modo sorpresi o colpiti dal fatto che la Cina non sia un paese democratico, non tenendo conto del fatto che nella stessa Costituzione cinese è chiaramente indicato che si tratta di una dittatura democratica popolare: dunque, non è che i Cinesi ci nascondano qualcosa, ma forse siamo a volte noi che non comprendiamo bene o che magari anteponiamo oggettivamente le nostre preferenze ed opzioni politico-ideali – certamente legittime in quanto cittadini – e le trasformiamo in strumenti di analisi storica e scientifica quando vestiamo l’abito degli studiosi;
- Infine, ritengo sia molto importante inserire ed interpretare gli eventi ed i problemi della Cina nel contesto più ampio, internazionale o se vogliamo utilizzare un termine largamente abusato globale. Qui mi pare sussistano due modi alternativi di affrontare la questione: il primo consiste nel guardare alla Cina come ad un fattore in qualche modo anomalo, quasi un fastidioso prodotto della storia: è una dittatura, non rispetta i diritti umani, reprime il proprio popolo, schiaccia le minoranze etniche, inquina il mondo, ecc., tutte questioni che ovviamente vanno esaminate e discusse e che possono legittimamente produrre analisi e giudizi critici ma che rischiano di mettere in luce solo alcuni aspetti pur importanti. Il secondo, che è quello che prediligo, cerca di inserire successi e difetti della Cina in un contesto più ampio che non minimizzi le “specificità cinesi” ma offra altresì l’idea che molti dei problemi che i Cinesi stanno affrontando sono ormai patrimonio comune dell’umanità (ad es. diseguaglianze sociali, discriminazioni etniche e di genere, compatibilità ambientali, ecc.) e che nessuna parte del mondo, a cominciare dallo stesso “Occidente”, può esimersi di riflettere su ed affrontare simili questioni, pensando magari che qui abbiamo raggiunto una sorta di Eden senza difetti e senza responsabilità storiche mentre là vi sono solo difetti, contraddizioni e brutture.
[1] Umberto Eco, “Costruire il nemico”, in Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Milano, Bompiani, 2011/2012, pp, 9-36, citazione alle pp. 10-11
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